venerdì 8 agosto 2008

L'esercito sulle strade delle città italiane



Lo spiegamento delle truppe sulle strade delle principali città italiane nell'estate del 2008 ha sollecitato molti commenti dal resto del mondo. In realtà non è una mossa particolarmente insolita. La stessa cosa è successa in India e Cina contemporaneamente. Per di più, l'esercito è stato utilizzato in diverse crisi italiane, più recentemente all'inizio del 2008 per togliere le immondizie dalle strade della Campania. I commentatori esteri hanno chiesto, in vari modi, se l'apparenza di truppe armate sulle strade di Roma e Milano significhi il ritorno del fascismo, o invece vogliono sapere se è soltanto un segno dell'incapacità della forze italiane di polizia di combattere un'ondata di attività criminale. Infine, chiedono se, data la preoccupazione del governo con la questione degli immigranti in Italia, la presenza delle truppe, sia un segno della xenofobia. Quest'ultima domanda è favorita dai vari pronunciamenti del governo centro-destra rispetto alla presenza degli stranieri, i quali, in barba alle statistiche, innaffiano la paura degli estranei manifestata da alcuni cittadini.

Consideriamo il ruolo delle truppe nelle strade delle città italiane e cerchiamo di derivare alcune lezioni di applicazione generale senza particolare riferimento nazionale. In primo luogo, non esiste un'ondata di attività criminale sulle strade cittadine d'Italia, le quali rimangono sicure alle pari con le migliori ambienti urbani in altre parti d'Europa. In qualsiasi caso, i servizi di emergenza e di protezione civile non sono necessariamente del tutto demilitarizzati. I Carabinieri sono un corpo di polizia e un ramo dell'esercito, con piena organizzazione militare. In diverse parti d'Italia essi sono custodi dell'ordine pubblico più visibili della Polizia di Stato, sebbene non più visibile della onnipresente polizia urbana. In secondo luogo, la Polizia di Stato e il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco dipendono dal Ministero dell'Interno, un fatto che li rende centralizzati quanto l'Esercito Italiano. La terza considerazione è che, come in molti altri paesi, i pompieri sono organizzati su base paramilitare per motivi di professionalità, disciplina e efficienza al lavoro. In alcune regioni d'Italia persino i cacciatori sono organizzati su lineamenti militari, sebbene l'obiettivo è di acquisire la materia prima di prosciutti, salsicce e bistecche di cinghiale. In altre parole, non c'è motivo per essere particolarmente ansiosi a causa dell'organizzazione militare.

Ciò nondimeno, in passato ho scritto ripetutamente [1] che la misura dell'evoluzione di un sistema di protezione civile resta nel suo grado di demilitarizzazione. In un servizio ben evoluto, la mancanza di organizzazione militare la rende libero dall'autoritarismo, dotato di flessibilità e sensibile al fabbisogno di sicurezza da parte della popolazione civile.

In contrasto, la difesa civile è praticamente rinato negli anni 2000, la nuova epoca del terrorismo internazionale. Paradossalmente, dopo gli attacchi dell'11 settembre 2001, il decentramento della risposta alle crisi è stato bruscamente rovesciato. In molti paesi, lo stato centrale hanno lanciato rinnovate forme costose, ambiziose e spesso draconiane di difesa civile sotto il titolo di "homeland security" (e in un certo senso è bene che non ci sia una facile traduzione del termine in italiano) o qualsiasi sia il termine di applicazione locale. I "guerrieri freddi" sono tornati in trionfo, contenti di avere un bersaglio, un nemico di nuovo nella personificazione del male, Osama Bin-Laden (il quale, naturalmente, è in gran parte una creazione delle paure e degli interessi dell'Occidente e non è esattamente ben messo per fungere come il nonno del terrorismo moderno come viene caratteristicamente dipinto dai media).

Quando, pochi anni fa, soldati e carri armati sono stati inviati a presiedere sull'Aeroporto di Heathrow a Londra fu detto che l'intelligence militare aveva individuato una minaccia specifica. Può darsi, ma era chiaro che le forze militari sul campo non sarebbero potuto prevenire l'abbattimento di un aereo civile con un missile lanciato da una casa nei rioni della Londra occidentale. Invece le funzioni delle truppe erano legate alle loro comunicazioni criptate e la visibile presenza, giudicata rassicurante, di uomini armati in divisa. In qualsiasi caso, fu lasciato ai servizi segreti a cogliere intelligence e alla polizia a pedinare l'infrastruttura del terrorismo e le sue linee di comando.

Riguardo le truppe sulle strade, bisogna preoccuparsi delle città del mondo dove esse rimangono per anni, una presenza permanente - Yangon o Harare, forse – e di che cosa fanno quando montano le pattuglie. In una società democratica, il personale dell'esercito può fare ben poco per ridurre l'incidenza dell'attività criminale, soprattutto se manca il potere dell'arresto dei sospettati. Tranquilli ambienti urbani non possono essere trattati come se fossero campi di battaglia, oppure ci sarebbero costanti violazioni di diritti civili ed umani. Inoltre, le truppe non sono state formate e addestrate nella prevenzione dei crimini in aree urbane. Le loro uniche doti sono il fattore dell'intimidazione e le armi che sarebbero malavvisati ad usare in qualsiasi circostanza che non fosse una vera e propria emergenza.

Una tregua infelice e non dichiarata esiste tra protezione civile e difesa civile. La prima ha radici locali, è decentrata e esiste con lo scopo di affrontare tanti tipi di contingenza, da caimani nei torrenti a terremoti all'influsso dei pellegrini per il funerale del Santo Padre. Il secondo è controllato dal governo centrale e esiste per proteggere la popolazione civile (oppure i sui rappresentanti) contro attacco armato. I due sistemi non sono necessariamente distinti, l'uno dall'altro, dai loro nomi, ne ugualmente sviluppati. In Italia, la protezione civile è un fenomeno altamente visibile con basi dovunque nella nazione e migliaia di volontari vestiti in divise colorate. La difesa civile è un servizio molto più riservato, e le suo funzioni vengono discusse molto poco, tranne in prefettura, forse.

La tendenza nella rivalità tra difesa civile e protezione civile sarà inerente nella politica di sussidiarietà e centrismo. Il governo italiano che ha messo le truppe in strada è molto preso dalla sussidiarietà, visto che metà del Consiglio dei Ministri parli continuamente di liberare le circoscrizioni provinciali dall'interferenza di Roma. Comunque, in questo esiste un elemento di inganno. I politici che lavorano al centro in un governo nazionale non sono particolarmente propensi a cedere il potere agi amministratori locali, per lo meno è così se non possono presiedere su una sostanziosa rete decentrata e regionalizzata del potere. Quindi lo spiegamento delle truppe, solida evidenza del potere centrale.

In termini operativi, lo spiegamento dei soldati per montare la guardia su siti strategicamente importanti è di scarsa importanza. E' molto probabile che non abbiano la necessaria formazione e addestramento nelle tattiche di contro-terrorismo urbano, e che non siano dotate di accesso all'apposita intelligence. E' invece un'indicazione visibile di un processo più profondo e complesso legato ai meccanismi interni del governo, anzi, del governance. Una volta, mi è stato spiegato parte di quel meccanismo da un politico ad alto livello a tavola in un ristorante nella Lombardia, ma temo che sia un malloppo di rapporti troppo complesso per essere compreso tramite un'intelligenza flebile come la mia. In qualsiasi caso, la marcia degli eventi (SARS, aviaria, terremoti, chissache?) cambierà il processo e determinerà, quanto lo faranno le alleanze politiche, quale sia l'eventuale equilibrio tra difesa civile e protezione civile. L'unica certezza è che, per quanto riguarda la gestione delle crisi, il politici custodiscono una predilezione per decisioni populiste e quindi sono attaccati al corto termismo. Al peggio, i risultati si vedono in reazioni spontanee e mal considerate agli eventi, come è lo spiegamento delle truppe sulle strade, mentre al meglio temo che si tratti di una spanna di attenzione al problema delle emergenze che rimane limitata e sporadica.

Nota

[1] Alexander, D. 2002. From civil defence to civil protection--and back again. Disaster Prevention and Management 11(3): 209-213.