mercoledì 17 marzo 2010

Protezione civile italiana: il vero stato dell'arte


In Italia ho sentito dire spesso "la nostra protezione civile è la migliore del mondo". Ho anche sentito il dottor Bertolaso dire davanti ad un pubblico italiano che era stanco di ascoltare a questo tipo di auto congratulazione. Un tempo questa osservazione poteva essere vera, in quanto altri paesi non erano dotati di un elevato livello di sviluppo del settore. Ma ora?

Tutto sommato, in Italia il modello dell'organizzazione atta ad affrontare i grandi eventi è fondamentalmente ben pensato ed è dotata di solida fondamenta. Esso possiede alcune doti particolarmente preziose, quali:
- il sindaco, capo della protezione civile locale, è eletto dalla popolazione e costituisce un legame diretto con il popolo assistito;
- giuridicamente la protezione civile è un servizio quotidiano fondamentale, alle pari con altri servizi municipali e statali;
- il volontariato, preziossisma risorsa basilare, costituisce un altro essenziale legame con i beneficiari, ovvero la popolazione;
- l'organizzazione è capillare in modo ininterrotto da Roma all'ultimo comune;
- l'Italia ha denaro e quando arriva un "grande evento" non ha paura di spenderlo.

Ma tutto questo non è più eccezionale come una volta:
- in questo settore la Svezia è riuscita a fare più progresso in 11 mesi e mezzo che l'Italia abbia fatto in 30 anni (basta ricordare la legge 996 del 1970, non ancora pienamente attiva nel 1984);
- la Gran Bretagna ha un sistema di comando e controllo molto più ben articolato di quello italiano;
- inoltre, tramite una buona e moderna legge nazionale di base in materia di protezione civile il Regno Unito ha coinvolto il settore privato nella difesa dalle catastrofi molto meglio rispetto all'Italia;
- la Gran Bretagna obbliga comuni, contee e regioni di avere, non solo piani di emergenza, ma anche in parallelo piani di continuità delle loro attività (perciò nella Emergency Planning Society britannica ci sono 2.500 iscritti), mentre in Italia la BCM non è sviluppato nemmeno nelle aziende private;
- i Paesi Bassi hanno un sistema di comunicazione e rapida reazione molto più avanzato di quello italiano: con una cultura di coinvolgimento del popolo nella preparazione per le emergenze che vanta di 57 anni di sviluppo quotidiano, gli olandesi sono molto evoluti anche in questo;
- il livello di eccellenza tecnologica e manageriale è superiore in Korea del Sud;
- la meticolosità della prevenzione di catastrofi idrogeologiche a Hong Kong è da sognare in Italia;
...e così via.

In Italia, esiste una protezione civile che spende 70 milioni di euro al mese sui grandi eventi ma in 15 anni non è stato capace di emettere linee guida nazionali di formazione.

Le linee guida di pianificazione sono arretrate di 12 - 16 anni e non riflettano la realtà di un paese che è cambiato, soprattutto riguarda il ruolo della sussidiarità.

Secondo il sito Internet dell'ONU, reliefweb.int, in Gran Bretagna 32 università offrono corsi in disaster management, tipicamente la laurea superiore di Master of Science: in Italia Reliefweb elenca solo una università, e a dispetto del sistema accademico mondiale, il master non è neanche una laurea.

Il 30 dicembre 2009, il governo Berlusconi emette un decreto in cui, nascosto in mezzo, un articolo dispone la privatizzazione del Servizio di Protezione Civile nazionale. La mia analisi di questo si trova su emergency-planning.blogspot.com, rigorosamente in lingua inglese. Il decreto apriva la porta, già spalancata, a raffiche di corruzione. Buttava dalla finestra idee di trasparenza, controllo democratico, etica e welfare. Alla mia costernazione, Il paese, forse narcotizzato dalla televisione del Premier, per svariate settimane non si accorgeva nemmeno di questo atto. Poi, tutto ad un tratto le cose si girano nell'altro senso. Si scopre che la privatizzazione è la cima del iceberg, e sotto, molti altri casi di malamministrazione sono collegati alla protezione civile.

Come ho scritto nel medesimo blog, in questo settore, gli scandali sono ciclici. Nel 1999 c'era da mandare via Professor Franco Barberi e imputare reati, risultati per la maggior parte inesistenti o insignificanti, ai suoi fedeli. Adesso c'è da rifare i conti nella stessa maniera. Nel 1999 nasce la Agenzia di Protezione civile, e muore in tre mesi; nel 2010 nasce la Protezione Civile SpA, e muore in meno di tre mesi.

Sotto tutto questo casino c'è la politica. Ma la motivazione di fondo della protezione civile è di fornire assistenza alla popolazione irrispettivemente delle considerazioni politiche. E' un settore della pubblica amministrazione che ha il dovere morale di essere apolitica, o per lo meno di esistere al di sopra della politica. E per questo deve essere essenzialmente e sempre pulita. Ma, a giudicare da ciò che scrivono i giornali, di fronte alle grandi spese ci sono troppe tentazioni.

Una cosa in cui la protezione civile italiana, agenzia o Società per Azioni o quello che sia, enfaticamente non è eccellente è la prevenzione. Il progresso in questo settore è minuscolo. Può darsi che sia compito di altri enti del governo italiano, ma nemmeno loro hanno fatto progresso.

Giorni fa ho visto un cittadino, di fronte alla propria casa, parzialmente smantellata da una frana, arrabbiarsi per la mancanza o la lentezza dell'assistenza fornita dal governo. Dunque, sono pienamente a favore del welfare, ma pensate al sillogismo:
- il cittadino decide di costruire la propria casa in un posto che risulta franoso;
- avviene un movimento franoso;
- la casa viene danneggiata;
- ergo, la colpa è del governo.

Magari, ma in moltissimi casi no. La tentazione di scaricare la responsabilità viene innaffiata da successivi governi, di destra e sinistra, che vengono sedotti dalla possibilità di guadagnare voti sprecando risorse pubbliche arbitrariamente e sopprimendo la tendenza del cittadino ad assumere responsabilità per le proprie azioni. A mia sorpresa, malgrado l'ostile clima finanziario (e fiscale), l'assistenzialismo è ancora vivo, anzi, è fiorente. Di conseguenza non si spende sulla prevenzione. Infatti, all'alba della nuova grande epoca di Disaster Risk Reduction mondiale, l'Italia è presente sul palco internazionale con iniziative così flebili e mal pensate che potrebbero non esistere mica.

Il ritratto che ho dipinto è colorato di nero, ma lo possiamo vedere in due modi. Quello negativo e di alzare le mani, voltare le spalle e fare nulla, vivendo nella paralisi caratteristica delle persone politicamente impotenti. Quello positivo è di rinnovare la lotta per una protezione civile come si deve. Questo si può fare, perché la sana protezione civile nasce da iniziative piccole e umili, ma che sono, infine, capaci di indicare la buona strada e seminare la buona pratica. Più difficile, più inaccettabili sono le circostanze, più che si deve lottare per un futuro più sano, più razionale, più prudente, più ben progettato.